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martedì 7 giugno 2016

lovecraft[04]-Il modello di Pickman

Il racconto "il modello di Pickman" è uno degli scritti di Lovecraft che più preferisco (e che quindi spero di trattare nel modo più approfondito che possibile), inoltre è il primo con cui venni a contatto; la trama del brano è relativamente semplice e presenta un tema nuovo per lo scrittore di Providence: esso ha come protagonista un artista, le cui opere sembrano degenerare nelle raffigurazioni più orribili e inquietati.

trama
Il protagonista si trova a rivelare all'amico Eliot, alltraverso un lungo flashback , il pauroso episodio che l'ha fatto allontanare definitivamente dall'artista Richard Upton Pickman, noto per la sua bravura a raffigurare soggetti fantastici. Quest'ultimo era stato escluso da numerosi circoli culturali a causa dell'esposizione di un suo quadro particolarmente rivoltante che raffigurava un essere intento a divorare un cadavere. Il protagonista, grande amico di Pickman, gli era restato accanto in seguito all'allontanamento dai circoli e era cresciuta in lui l'ammirazione per quest'ultimo. 
I contatti sempre più stretti e intimi tra Pickman e il protagonista fecero in modo che l'artista, una notte, portasse il suo unico amico nello studio, affittato sotto falso nome, dove produceva i sui quadri orripilanti e fantastastici; Si trattava di una piccola casa buia e situata alla periferia della città, lì Pickman era solito iniziare, studiare, ricalcare e ultimare i quadri che avevano in comune soggetti orribili e demoniaci
Pickman narra inoltre all'amico le antiche leggende che aleggiano sui lunghi e tortuosi corridoi che, come radici, attraversano i sotterranei della città, e che nei tempi remoti erano luogo di indicibili azioni (che non vengono descritte), le quali non sarebbero state certamente accettate in superficie.
Pickman accompagna l'amico in una grande sala illuminata da candele all'interno della quale si trovano i quadri coperti da tele di stoffa bianche; il pittore li scopre uno ad uno e il protagonista è inorridito dalle visioni che è costretto a contemplare tra quelle pennellate così precise ("...esseri bipedi di forma vagamente canina... gommosi e ripugnanti... raccolti in gruppi o in cimiteri e accovacciati nei cunicoli sotterranei..."); il protagonista accenna a descrivere gli orribili dipinti che sono accomunati dalla presenza di esseri immaginari nell'atto di divorare cadaveri, di azzannare ignare persone scese in cantina e di attaccare uomini in attesa della metropolitana. Egli dichiara che il particolare più pauroso erano i volti delle creature ritratti dall'artista in modo perfetto, come se si ispirasse ad un modello (“ A suscitare tanto raccapriccio erano i volti, Eliot, quei maledetti volti che sbirciavano lascivi e sbavavano dalla tela, palpitanti di vita! Perdio, amico, credo sul serio che fossero vivi! ...aveva portato sulla tela le fiamme dell'inferno”). 
I due giungono infine alla stanza più in profondità della casa, al cui centro si presenta un pozzo che Pickman dice essere collegato alle fogne, chiuso da un pesante coperchio di legno, accanto al quale si trova l'ultimo lavoro dell'imbrattatele che è ancora incompleto sul cui bordo è affisso un pezzo di carta che il protagonista ipotizza essere il modello utilizzato dall'artista. A questo punto si sentono rimbombare per la stanza degli squittii e suoni acuti, Pickman sparisce nell'oscurità con una pistola, riapparendo qualche minuto dopo affermando di essere andato a cacciare e uccidere i grossi topi di fogna che spesso si infiltravano dalle fogne. Il flashback termina con il ricordo del protagonista di essersi infilato istintivamente la fotografia sistemata accanto alla tela in tasca e, il giorno successivo, di averla guardata per capire la natura di tanta bravura nel ritrarre minuziosamente quei volti: ("il pezzo di carta mostrava la creatura orribile che veniva raffigurata in quella orribile tela. Era il modello utilizzato da Pickman... lo sfondo altro non era che la parete dello studio-cantina riprodotto nei minimi particolari. Ma perdio, Eliot, era la fotografia di un essere reale!"). Il protagonista è sconcertato dalla scoperta e rompe definitivamente ogni contatto con l'amico Richard Upton Pickman.

commento personale
In questo racconto si possono trovare molti elementi nuovi per HPL ma che in seguito approfondirà in altri scritto:
-L'artista viene visto come una persona che ha la facoltà di vedere e sentire cose a noi non concesse, portandolo così ad essere connesso ad un mondo fittizio e fantasioso che però sembra, talvolta, interagire con la nostra realtà introducendo mostri orribili e indescrivibili; in altre parole: l'arte, e quindi l'artista, viene usata come tramite tra due mondi.
-La degenerazione delle facoltà morali di una persona (in questo caso di Pickman) a causa di ragioni poco chiare o sconosciute; in questo racconto la catabasi dell'artista viene considerata come principale causa della sua deviazione morale.
-L'idea che il mondo sotterraneo o comunque non visibile nasconda inevitabilmente azioni malefiche, entità malvagie e figure deviate (di questo fatto si hanno riscontri e conferme da moltissimo tempo, basti pensare alla localizzazione ideologica dell'Inferno cristiano).
illustrazione di un ghul proveniente da
 "le mille e una notte"

I mostri che vengono descritti dal protagonista e che vengono osservati dallo stesso nei quadri di Pickman, sono quasi certamente ispirati alla creatura Ghul, che nella cultura araba è un'entità demoniaca (infatti la parola Ghul vuole significa semplicemente "demone"), un mostro che aggredisce, deruba e uccide i viandanti di zone desertiche. L'attività necroatropofaga viene ripresa da Lovecraft che visualizza scene di nutrimento di cadaveri dissotterrati nei cimiteri da parte di tali creature.
Le più recenti attestazioni scritte dei Ghul provengono da un racconto delle Mille e una Notte.

sabato 4 giugno 2016

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mercoledì 18 maggio 2016

lovecraft[b]-suddivisione dei racconti

Le opere di Lovecraft si possono classificare, secondo molti suoi lettori, me compreso, in tre categorie:


-racconti macabri
Questo ciclo che si svolge dal 1905 fino al 1920 è caratterizzato da una somiglianza con le storie di Edgard Allan Poe, grande maestro di HPL; In questi scritti si evidenzia molto la sua passione per il gotico (classiche ambientazioni in cimiteri, luoghi bui, esseri demoniaci...), di cui Poe è il maggiore esponente.


-racconti onirici
I racconti onirici (o fantastici) si possono a loro volta spartire in due ordini non indipendenti tra loro e accomunati dal medesimo fulcro (dal 1919 al 1926):
--ciclo del fantastico: sono gli scritti che hanno come tema principale il sogno che in Lovecraft è       inteso come un "portale" che ci collega con altri spazi e dimensioni.
--ciclo di Randolph Carter: questo nome si riferisce al protagonista di ben cinque racconti incentrati ancora una volta sui sogni che però a differenza di quelli precedenti tendono a diventare incubi;sembrerebbe che tale protagonista sia l'alter ego di HPL.


-ciclo di Cthulhu
Questa serie di racconti (1925-1935) costituisce la parte più importante, innovativa e interessante di tutta la produzione di Lovecraft, essi narrano vicende inerenti a Grandi Antichi e Dei Esterni, alle città immense e stupende sommerse nelle acque, del libro maledetto (necronomicon) e di una serie di creature non umane.

domenica 15 maggio 2016

lovecraft[03]-L'essere nella caverna

Abbandoniamo per un attimo le creature dei famosi miti di Cthulhu per concentrarci per qualche tempo sui racconti giovanili o meno famosi dell'autore. Il primo che vorrei analizzare è "l'essere nella caverna", scritto dal giovane Lovecraft all'età di solo quindici anni che presenta un forte richiamo alla più classica letteratura gotica; il carattere generale e la tecnica di narrazione utilizzata è molto simile a quella sfruttata oggi per molte creepypasta.

trama
La vicenda, come di solito narrata in prima persona, si svolge in una isolata e remota grotta nella quale il protagonista si è smarrito, allontanandosi dal gruppo di visita guidata cui stava partecipando. Il narratore è sprovvisto di una torcia e cerca a tentoni una via di fuga aggirandosi per le buie, immense e labirintiche vastità della caverna. Mentre si avvicina ad una pozza d'acqua calcarea la sua attenzione viene attirata da un sottile e debole suono di passi provenienti da un luogo indefinito. Sperando in un provvidenziale quanto improbabile soccorso il protagonista urla più volte nel buio per sperare di attirare il suo (presunto) salvatore nella sua posizione attuale. Ascoltando però l'eco dei passi che nel frattempo si sono avvicinati egli ne deduce che non si tratta di un essere umano ma bensì di un animale che produce il tipico suono di una camminata quadrupede. Il protagonista, sconcertato e allarmato da quest' inaspettata scoperta, si rannicchia dell'ombra, stringendo nella mano un sasso da usare come arma nel caso in cui l'essere sia ostile o in cerca di prede. Preso da un atto di coraggio egli si slancia alla cieca sulla creatura colpendola violentemente sul cranio, facendola accasciare a terra apparentemente morta. A causa del fitto buio non è in grado di esaminare l'animale appena abbattuto. Qualche minuto dopo sente nuovamente dei passi provenienti dalle sue spalle, che con estrema gioia classifica come umani: la guida, venuta a conoscenza della sua mancanza nel gruppo di visita, si era messa in cammino con una torcia elettrica, sperando di recuperare il turista. Egli corre subito incontro all'aura di luce chiara della torcia e, trovata finalmente l'accompagnatrice le racconta il fatto appena accaduto, indicando la bestia a terra poco distante da lui; con l'ausilio della luce il protagonista può finalmente studiare l'animale che ha aggredito: pare una scimmia di grosse dimensioni con vaghe somiglianze all'uomo, il pelo molto bianco, occhi neri (che indicano una lunga permanenza nella caverna) e presenta lunghi artigli sulle zampe. Poi il narratore parla di un suono, un suono sottile e incerto che proviene dalla creatura che si rivela non ancora spirata, ma in uno stato di svenimento; questo suono fa impallidire e riempie d'orrore il protagonista che fugge assieme alla guida, lasciando la creatura in agonia: "...poiché il suono profferito dalla figura abbattuta e riversa sul pavimento di calcare ci aveva rivelato la spaventosa verità. La creatura che avevo abbattuto, la strana bestia dell'incommensurabile caverna, era, o un tempo era stata, un uomo.".

commento personale
Come già scritto nell'introduzione lo stile, le tematiche e la struttura di questo brano si discostano ben poco da quelle utilizzate oggi nei racconti creepypasta. Il testo, che ricordo essere stato scritto dall'autore a quindici anni, anticipa la figura che ricorrerà più volte nei suoi scritti giovanili: Il buio.
E' interessante notare che vista l'assenza di visibilità dovuta all'oscura e tenebrosa grotta, l'attenzione del protagonista si sposta su una percezione uditiva dell'ambiente che lo circonda.
La creatura, che un tempo era stata umana, assomiglia molto allo Yeti (in italiano "uomo delle nevi"), creatura fantasiosa delle regioni del Nepal.

venerdì 6 maggio 2016

lovecraft[c]-cenni sul pantheon lovecraftiano

Le divinità dei racconti di Howard Philips Lovecraft possono essere divise nel medesimo modo in cui l'autore le classificò all'interno dei suoi racconti: Esse si distinguono in due grandi macrocategorie: i Grandi Antichi e Dei Esterni.

-Grandi Antichi
I Grandi Antichi (Great old Ones) sono semi-divinità malvagie giunte sul nostro pianeta prima che l'uomo vi facesse comparsa; per molti millenni hanno dominato e edificato le loro meravigliose e immense città ( la più magnifica e importante è R'lye ), ma il i loro vasti poteri erano strettamente legati alle congiunzioni e posizioni degli astri, Infatti quando la struttura cosmica si evolse, le stelle cambiarono posizione e essi furono costretti a rifugiarsi in gigantesche grotte sottomarine in un profondo sonno, in attesa di un nuovo allineamento propizio. Attualmente continuano ad attendere nelle profondità più nascoste della terra e del mare.



-Dei Esterni
I Dei Esterni (Outer Gods) sono divinità cosmiche molto più potenti dei Grandi Antichi, gigantesche masse informi, conducono la loro esistenza in un punto imprecisato dell'universo. Il Dio esterno più importante è il folle Azathoth ("il dio cieco e idiota che bestemmia al centro dell'universo") , esso viene cullato dal suono di flauti suonati da altri Dei Esterni minori (l'insieme di questi dei viene detta Corte di Azathoth), i quali lo mantengono in uno stato di semi-veglia in quanto temono che al risveglio, data la sua follia, potrebbe ordinare la distruzione dell'intero cosmo. Essi raramente interagiscono con gli esseri umani.
L'unico intermediario che i Dei Esterni possiedono è Nyarlatothep che costituisce il messaggero cosmico che ha la facoltà di palesarsi a uomini e Grandi Antichi.











lovecraft[02]-Nyarlathotep

Il racconto "Nyarlathotep" è una delle visioni più pessimistiche e catastrofiche dell'universo e di tutto quello che esso contiene; scritto nel 1920, sembrerebbe essere stato frutto di un sogno, inducendo Lovecraft a comporlo nel cuore della notte, senza aspettare le luci dell'alba. Nonostante il racconto faccia ufficialmente parte del ciclo dei sogni, io, personalmente, lo inserisco nel ciclo di Cthulhu, in quanto vi è la presenza di un dio immaginario che fa parte di quest'ultima raccolta.

trama
Nyarlatothep nella sua forma cosmica
L'apertura, come in quasi tutti i racconti di HPL, spetta al protagonista che con queste parole ci introduce la vicenda: ("Nyarlathotep, il caos strisciante... Io, che sono l'ultimo, parlerò al vuoto in ascolto..."). L'epiteto "caos strisciante" è una perfetta descrizione dei poteri principali della creatura Nyarlatothep il cui nome suggerirebbe una quasi certa provenienza egiziana; Il narratore descrive inizialmente il mondo in cui ha vissuto, nel quale, al culmine di disastri politici e sociali, si aggiungeva una costante paura di un inevitabile pericolo fisico; è in questo scenario distopico che fa la sua comparsa, non si sa ben dove, Nyarlathotep, un uomo che afferma di venire da milioni di anni di oscurità e dal viso assomigliante ad un profilo faraonico; Costui si presenta come un profeta e inizia a dare dimostrazioni delle sue avanzate conoscenze in campo elettrico, psicologico e tecnologico, lasciando sbalordite le persone che assistevano alle sue conferenze. Un giorno il rivelatore fa tappa nella città del narratore ("...una grande, vecchia e terribile città di crimini infiniti.") e comincia a profetizzare visioni d'incubo e terrore, impaurendo anche i più scettici abitanti. Le notti in città diventato un'orchestra di grida di angosciate persone in preda ad orribili e indicibili incubi. Una sera il protagonista, attratto dal desiderio di vedere il mistico mago, decide di avventurarsi in una delle buie soffitte per sperare di scorgere Nyarlatotep, e sedendo nella stanza stipata di gente assiste impotente alle rivelazioni. In quei momenti l'io narrante  perde la cognizione di tempo e spazio, e guidato per le strade ormai deserte e imbiancate dalla neve, si rende conto che la città è preda di un folle delirio ("Camminando notammo che la pavimentazione era sbreccata e solo una traccia di metallo arrugginito indicava il vecchio percorso del tram. Un poco più avanti un tram si era rovesciato su un fianco, malconcio e senza vetri. Guardando verso l'orizzonte non si scorgeva il terzo grattacielo vicino al fiume e notammo che la sagoma del secondo era spezzata verso la cima."). Il gruppo di persone vaga per le strade del caos, dividendosi inconsciamente in aggregazioni sempre più piccole che scompaiono nel nero della notte e nel bianco della candida neve. Il protagonista ormai rimasto solo vacilla per qualche istante su un abisso tenebroso apparso improvvisamente nel terreno, e, sfinito, vi precipita perdendo definitivamente la ragione ("...per un attimo volteggiai sul cieco vortice dell'imponderabile... poi precipitai...Solo gli dèi che furono potrebbero stabilire se fossi ancora lucido o in preda a un muto delirio"), concludendo il racconto con una frase che descrive lo scenario agghiacciante di quelle tenebre: ("E su tutto, in questo ripugnante cimitero dell'universo, si ode un sordo e pazzesco rullìo di tamburi, un sottile e monotono lamento di flauti blasfemi che giungono da stanze inconcepibili, senza luce, di là dal Tempo; la detestabile cacofonia al cui ritmo danzano lenti, goffi e assurdi i giganteschi, tenebrosi ultimi dèi. Le cieche, mute, stolide abominazioni la cui anima è Nyarlathotep.").

commento personale
Nyarlathotep è uno dei racconti più suggestivi e fantastici mai usciti dalla penna di Lovecraft, infatti presenta una ampia tessitura onirica che fa da sfondo alla vicenda narrata. In questo brano egli comincia a consolidare e approfondire l'idea immaginaria di un universo ripugnante governato da leggi e creature orribili, indicibili e indescrivibili. La figura di Nyarlathotep apparirà molto spesso, per allusioni, nei successivi racconti, nei quali però, verrà ritratto come un' enorme massa gelatinosa e informe (l'aggettivo strisciante infatti si addice molto bene a questa presentazione), ma viene anche detto che ha la facoltà di mutare forma fisica.
La creatura, secondo la leggenda, fa da tramite tra la corte di Azathoth e il nostro mondo, per questo viene anche chiamata "il messaggero cosmico" (vedi cenni sul pantheon lovecraftiano).


giovedì 5 maggio 2016

lovecraft[01]-Dagon

una raffigurazione del dio Dagon
Dagon è uno dei primi racconti di HPL (scritto nel 1919) e contiene, in una forma non ancora non perfetta, il tipo di narrazione che in futuro lo avrebbe distinto con il ciclo di Cthulhu.

trama
Il racconto, narrato in prima persona, inizia con una frase del protagonista che ci introduce subito allo stato d'animo in cui egli si trova ("Scrivo queste note in una morsa d'angoscia e so che al termine della notte sarò finito"); Da queste primissime righe si evince, annunciando al lettore il clima d'angoscia, che il narratore è molto spaventato e teme per la sua vita; aggiunge che nello stato in cui si trova gli rimangono solo due alternative: la prima è la morte, e l'altra la pazzia   ( "...non posso reggere oltre la tortura: mi butterò dalla finestra di questa soffitta").Viene poi descritto in un lungo flashback la vicenda, molto singolare, che il protagonista-narratore ha vissuto un numero imprecisato di anni prima; Nella prima guerra mondiale egli era sovrintendente di un piroscafo e durante una missione al largo del pacifico, cadde vittima di un incrociatore tedesco. Dopo pochi giorni di prigionia il narratore riuscì ad evadere e disponendo di una barca e di qualche provvista, lasciandosi alle spalle la nave nemica; Quella stessa notte, mentre dormiva sulla barca con i remi a bordo, avvenne un cambiamento nella natura delle distese d'acqua che per vaste lunghezze lo circondavano, infatti, svegliandosi da sogni inquieti e agitati il protagonista si rese conto che la sua imbarcazione stava sprofondando in un fango denso e scuro dove la barca si era incagliata. Sceso dunque con i piedi sul fango e resosi conto che la melma era più dura e viscosa di quanto si aspettasse, egli si mise in cammino in direzione di una gigantesca ed altissima montagna che si stagliava a pochi giorni di marcia dalla sua posizione attuale. Durante questo tragitto il narratore descrive i cadaveri di pesci e le carcasse, ormai ammuffite, che popolano quell'interminabile distesa di terra nera. Giunto ai piedi del rilievo egli fece una scoperta agghiacciante e inaspettata: su un fianco della gola si innalzava un'immensa scultura di pietra, con dei bassorilievi raffiguranti uomini-pesce nell'atto di pregare, nuotare, cacciare e nascondersi in grotte sottomarine ("Improvvisamente la mia attenzione fu catturata da un grande e singolare oggetto che si trovava sul fianco opposto della gola, il quale s'innalzava ripidamente a un centinaio di metri da me ...Esaminandolo più da vicino provai sensazioni che non è facile descrivere ...dava la sensazione di essere stato costruito, e forse adorato, da creature intelligenti"). A quel punto, mentre il protagonista osservava inorridito le raffigurazioni, le acque che circondavano la montagna presero inaspettatamente ad agitarsi e da una gigantesca pozza si sollevò un mastodontico mostro ("Poi, all'improvviso, lo vidi... vasto, ciclopico e disgustoso sfrecciò verso l'obelisco... poi abbracciò la stele con le enormi braccia scagliose e piegò la testa, emettendo una serie di suoni misurati. Credo di essere impazzito allora... "). Il narratore afferma di essere svenuto e che di essersi risvegliato in un ospedale di San Francisco. A questo punto egli in preda al terrore, a incubi colmi di angoscia, allucinazioni e a pensieri orribili decide di suicidarsi, gettandosi dalla finestra ("La fine è vicina. Sento un rumore alla porta, come se un immenso corpo viscido vi premesse contro. Non mi troverà. Dio, quella mano! La finestra! La finestra!").

commento personale
Lovecraft, come si intuisce da questo racconto ma soprattutto dal richiamo di Cthuluh, era talassofobico fortemente spaventato dal mare.
Una caratteristica che ricorrerà molto spesso nei suoi successivi racconti è quella che il lettore non sa e non saprà mai quanto del racconto sia fonte di una sorgente onirica e quanto corrisponda effettivamente alla realtà, rendendo ogni suo racconto pregno di incertezze che ne incrementano la suggestività e l'immedesimazione da parte del lettore. Solo in questo racconto HPL sfrutta una leggenda preesistente (infatti tutto il pantheon lovecraftiano è stato immaginato e concepito dallo stesso autore). Il dio Dagan secondo gli scritti e le narrazioni che ci sono giunte era una divinità molto importante per le civiltà semitiche e filistee del 100 a.C.; era descritto come un semi-dio dalle sembianze di pesce, protettore della pesca e delle attività ad essa connesse.